"A Reality on the world"

Esistono diversi tipi di realtà all'interno del nostro Mondo. Diversi punti di vista e contesti. Diversi sono i Paesi e i popoli. E certe storie regalano brezza lieve di nuova conoscenza. Là, dove non è possibile conoscere ogni angolo di questa Terra, è però possibile comunicare visioni e sfaccettature, a chi sarà interessato a leggerne le storie.

2007/05/26

1 fra tutti for President

1 fra tutti for President...



le strade di Damasco echeggiano di musica e del suono delle immagini del Rayss che al vento sembrano dire: "Guardatemi sarò ancora con voi..."
8 del mattino la gente scende in strada con bandiere bandierine, cartelli, cartelloni, poster, striscioni...si festeggia la candidatura di Bashar, bande musicali attraversano la città, case, abitazioni e palazzi sono interamente ricoperti dal suo volto...
400 mila persone tra uomini, donne e bambini si trovano riuniti alla manifestazione e il tutto mi rimanda alle immagine del fascismo in Italia, il consenso al regime che non può che essere che consenso. Si osanna la sua candidatura che poi sarebbe l'unica da confermare, la popolazione domani si dirigerà alle urne per il referendum, per votare SI o NO...
ovviamente Bashar sarà rieletto e la popolazione non si lamenterà più di tanto poichè vige la regola che al peggio non ci sia mai fine e la paura delle novità è un freno che conserva la tradizione tale e quale...voci di popolo, a voce bassa, alludevano alla candidatura di altri 2 personaggi in vista nel panorama politico siriano, questi 2 personaggi avrebbero presentato una lettera, una richiesta per un'autoelezione a fianco del presidente, ma come si dice...fantascienza, non è ammissibile.
oggi un mio amico mi ha chiamata chiedendomi se volessi andare con lui a una festa in onore del presidente...gli ho chiesto:"ma perchè vuoi andare?" e lui:"Manu sai può essere utile...





2007/05/13

Rayess Bek: Arab hip hop

Rayess Bek: Arab Hip hop


Alla ricerca di un pò di musica araba che non presenti lo solite caratteristiche melodiche e tradizionali, non fraintendete, tanto di cappello per la signora Fairuz o Umm Kalthum, ma se si dice che le canzoni di Fairuz vanno in accordo col buongiorno, io mi chiedo del perchè queste siano dappertutto anche nella notte...dicevo mi sono imbattuta in questo gruppo libanese Rayess Bek...la caratteristica che più mi ha colpito è stata: il genere hip hop miscelato con la lingua araba e lingua francese, devo dire che il mix venuto fuori non è proprio male...ma quello che più mi ha fatto riflettere sono stati i testi delle canzoni...questi giovani libanesi parlano di : Bihaki biskut, cioè di parlare in silenzio, della pericolosità delle parole che si innalzano ad alta voce, dei disagi della nuova generazione. L'innovazione sta nella funzione che acquista il ruolo della musica nell'odierno contesto, se fairuz e umm kalthum cantavano i disagi dell'amore non ricambiato e marcel khalife, le poesie di mahmud darwish, canzoni per la patria più o meno nazionaliste e il disagio di non possedere un passaporto...rayess bek alzano la voce contro l' istituzione, incitano la gioventù a capire le dinamiche del potere e a prendere posizione..il loro genere musicale seppur piuttosto europeo o americano, sembra farsi movimento rivoluzionario che canta i disagi dei giovani affermando l'essere arabi e il disagio dell'essere trattati come terroristi all'interno della loro patria, poichè "urlatori" di verità che sarebbe meglio far tacere.

2007/05/08

Ospiti illustri :"Agent Orange"

Ospiti illustri: "Agent Orange" foto da qui


È mattina nella mia luminosa casa damascena, il campanello vibra, io dal piano di sopra mi affaccio alla finestra per capire chi è il visitatore. La tenda bianca sullla porta, un “ejab” che rispettosamente evita di mostrare l’interno della nostra casa dalla moschea stanziata in fronte, svela un uomo canuto che avanza un po’ goffamente, la sua corporatura è robusta, il suo pancione esprime simpatia, le sue scarpe da ginnastica bianche non portano il nome di nessuna marca; lo saluto dall’alto con un benvenuto, lui mi chiede di dove fossi originaria:-“Siciliana…”- rispondo- e ironicamente l’omone:-“ pensavo fossi cinese…” riferendosi alla lunga bacchetta che porto per tenere quieta la mia folta chioma…lo aspettavamo, è arrivato con un giorno di ritardo, la sua stanza per una settimana sarà il salone di casa mia. Il personaggio in questione è un grande fotografo, Philip Griffiths, arrivato a Damasco per visitare la figlia e amico di Sheryl.

Non conoscevo la magnificenza del personaggio sino alle mie ricerche su internet e alle chiacchierate diurne con il suo senso dell’humor. I primi giorni vedendolo leggere nel giardino non osavo disturbare quella saggia quiete che emanava, fino a che una mattina preparando il mio amico caffè lui entrò in cucina per cercare del the, fu così che misi sul fuoco dell’acqua e lo invitai ad accomodarsi…non sapevo molto di lui, ma ero a conoscenza dei suoi problemi fisici che da qualche anno lo avvolgevano in una goffa postura, ma che mai venivano menzionati dal suo sorriso.

Philip ama tanto chiacchierare con la gente e soprattutto sdrammatizzare, così quando io cercavo velatamente di mimetizzarmi tra le mura della casa lui mi rivolgeva la parola strappandomi un sorriso.

Un pomeriggio appena rientrata in casa apprendo che si sta per organizzare una specie di workshop improvvisato, ci mettiamo un po’ tutti a lavoro, recuperiamo un proiettore, un po’ di cibo che in bella vista aspetta di essere gustato su un tavolo, su un secondo tavolo 4 computer, ammasso di fili, gente che guarda foto e le seleziona e le inserisce in una slide-show che prima o poi verrà proiettata sul bianco schermo…la serata inizia, una ventina di gente accovacciata su comodi cuscini sul pavimento, noccioline e pistacchi vengono sgranocchiati. Philip è seduto su una sedia rossa, la sua camicia è di un verde intenso, le sue scarpe sono sempre quelle da ginnastica bianche bene allacciate ed è lui che introduce le sue foto sui 3 anni trascorsi li, in Vietnam. Introduce se stesso, il suo tono di voce è alto e fermo, il suo accento è del Wales, subito tutta la nostra attenzione è captata da quelle foto in bianco e nero scattate in diversi periodi in Vietnam, le ombre, le sfumature e l’impatto emozionale che scaturiscono dalle visione di queste, mi fanno riflettere su come sia possibile immortalare emozioni e renderle vive e dinamiche nell’arco degli anni. Le foto mostrano bambini deformati alla nascita con grandi teste e visi dolcissimi, bimbi imbottigliati che si abbracciano tra loro: l’umanità dei sentimenti umani sin dalle origini della nostra esistenza sulla terra, seppur senza coscienza razionale, soldati americani che cercano di soccorrere un vietcong, philip ha più volte sottolineato quanto i soldati americani ammirassero i vietcong, ancora soldati ripresi da telecamere mentre mostrano le ferite di guerra, i primi 3 uomini che iniziarono la guerra ... Una serie di foto mostravano il tentativo di ricostruire il Vietnam riempiendolo di locandine pubblicitarie di seven up giganti tra le rovine del paese con gente assopita su passeggere panchine.

I suoi libri: "Agent orange: collateral damage in Vietnam" e "Vietnam Inc" raccolgono le testimonianze e i momenti di quella guerra che ha lasciato una grande cicatrice sulla coscienza mondiale, di cui ancora le conseguenze sulla popolazione non riescono ad essere attenuate, come le deformazioni procurate dagli ordigni chimici che deturpano le nuove generazioni, parecchie foto mostravano diverse tipologie di bambini nati senza occhi o con occhi evidentissimi ma ciechi...

La macchina fotografica che portava con sé era una macchina fornita dall’agenzia, tutti i fotografi avevano la stessa macchina, cercava di esprimere ironicamente i suoi disagi in quel contesto, cioè l’ orripilante puzzo delle sue scarpe che pur lasciate a macerare con shampoo durante la notte non riuscivano a mutare la loro essenza … alla fine della sua presentazione le sue parole: "ricordatevi che se a Washington è stato costruito un memorial per gli americani morti in vietnam lungo 150 m, se un altro memorial fosse stato innalzato per i vietnamiti questo si sarebbe dovuto estendere per almeno 40 km.”

La serata è andata avanti con proiezioni di foto di autori minori e con quelle di sheryl che nel suo fotogiornalismo estremo rendono lode a coloro che ricercano da sé la verità.

Il giorno dopo a colazione ho cercato di liberare le mie curiosità ponendogli delle domande:

-“philip pensi che avendo in prima persona vissuto le atmosfere di guerra, queste abbiano causato degli effetti sulla tua psiche? Poiché ricordo di un giornalista famoso che dopo aver fotografato situazioni non certo felici in guerre in giro per il mondo adesso si ritrova con una casetta in campagna, fotografando paesaggi…”

-“ i miei studi si sono incentrati dapprima nell’ambito farmaceutico, la mia famiglia non aveva molti soldi, ma a un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di vedere da me cosa stava succedendo nel mondo, di esserne parte, di fotografare e di renderlo pubblico alla collettività…molta gente è afflitta dalla paranoia del dolore…per me è una parola inesistente, non ho mai avuto incubi dopo aver fotografato terribili situazioni, ho sempre cercato la verità…ma ti dico di più ho incontrato molti giornalisti e fotografi che non erano abbastanza forti, o che semplicemente non erano tagliati per questo mestiere: la loro voglia di fotografare e di ricercare la verità non era talmente radicata in loro..ho saputo di giornalisti impiccati all’interno di edifici, dopo essere stati in guerra, tra cui un ragazzo italiano, non era un fotografo propriamente, aveva acquistato una macchina fotografica all’aereoporto ed era partito…”

-“in Vietnam si trovava anche una giornalista italiana che da circa qualche mese è deceduta…”( il suo viso si è contratto in un sorrisino)

-"eh si la signora Oriana Fallaci, la incontrai nel bel mezzo di una sua crisi di panico, voleva tornare indietro, era un pugno di nervi, urlava contro tutti dicendo che era troppo pericoloso, le dissi di venire con me, anadammo in giro per un pò, ma non era impossibile farla ragionare, anche quando intervistò kissinger, che non si riconobbe nelle parole trascritte dalla giornalista, ecco lei interpretò i pensieri di kissinger, sostenendo di possedere uno straordinario senso di intuizione che riusciva a carpire dagli occhi della gente quello che loro pensavano in quel momento e che avrebbero detto se lei non fosse stata presente in qualità di giornalista.”

-“la fallaci scrisse anche un libro:”Niente e così sia…”

-“tutto falso, mi ricordo lei attorniata da un gruppo di giornalisti che raccontava la sua esperienza, atteggiandosi a superdonna, io stavo lì ad ascoltare e me la ridevo, lei dopo essersi accorta della mia presenza cambiò espressione e tono di voce…pace all'anima sua”

-“cosa pensi di internet e del nuovo metodo di comunicare che ai tempi del vietnam non esisteva”

-“penso che internet sia una grande rivoluzione, penso che il poter interagire tramite un mezzo di comunicazione sia una grande rivoluzione, poiché oggi come oggi la stampa è in crisi…anche il giornalismo di oggi, anche la fuoriuscita di notizie, se al giorno d’oggi un giornalista vuole andare in iraq è completamente assoggettato all’esercito, non ha possibilità di evadere e di andare in giro a perlustrare da sé, cosa che prima era possibile, per me l’importante era sempre chiedere informazioni e cogliere le testimonianze della gente, una volta seguii il viaggio di un'intera famiglia dal Vietnam alla California, immortalai le loro espressioni nel visitare un supermarket….”

Gli argomenti chiacchierati sono stati diversi, il ruolo della comunicazione, la fragilità di questa, la doppia lama e la strumentalizzazione che ne scaturisce, ma Philip sicuramente oltre ad aver dato un grandissimo contributo alla storia ha messo in moto le sue scarpe per ricercare qualcosa da sé, per partecipare al teatro della guerra e averne un’idea immortalarla per mostrarla al mondo.
Philip ha lasciato ieri la mia casa, non sono riuscita a salutarlo, resterà nella mia memoria la sua immagine quieta che legge nel cortile contornato dai fiorenti gelsomini ...buon viaggio

2007/05/05

profani punti di vista di una giornata in verbi deboli tra sbarre che imprigionano Damasco




Profani punti di vista di una giornata in verbi deboli tra sbarre che imprigionano Damasco



Protagonisti della giornata: un libro di grammatica araba, un tavolo appoggia tutto, una finestra con delle sbarre, candele e portacandele, batterie alcaline perlopiù da buttare, una macchina fotografica digitale con annesso schermo danneggiato, voglia di immortalare il momento, la luna, le luci di damasco, il minareto imprigionato tra le sbarre, l’incenso al sandalo, sigarette gitanes blondes, un computer, le mie mani, la necessità di stare da sola, il bambino che sbircia dalla finestra di fronte, allah dal minareto…


Signori e signori è una calda giornata di maggio, anzi propriamente l’anniversario della morte di Napoleone Bonaparte, un sabato festivo per i cristiani, un giorno qualunque per i musulmani. Sveglia alle 8 del mattino, la mia amica alia continua ad agitarsi, ha perso per l’ennesima volta i soldi per strada, deve incontrare la madre venuta da Homs appositamente per lei. Io con un orecchio nel mondo dei vivi e un altro nel mondo dei desapparesidos nel mondo dei sogni cerco di emettere qualche suono in lingua araba, che risulta incomprensibile pure al mio orecchio sveglio, riesco solo a capire che alia necessita qualche soldo per l’autobus e le porgo lo striminzito portafoglio ritornando tra le braccia di Morfeo.


Il sole si affaccia violentemente alla mia finestra stuprando le mie tende bianche è così che capisco che è giunta l’ora per salutare il mio comodo letto, il ripasso dei verbi deboli mi aspetta…scendo le scale per raggiungere la cucina, saluto le 2 italiane che attendono il responso dei fornelli, mentre carico l’unico caffè rimasto in casa, quello turco, lavo le centinaia di tazze e tazzine nel lavello godendomi la rinfrescante sensazione dell’acqua fredda sulle mie mani e braccia, il caffè è pronto, lo porto in cortile con me cibandomi dei gustosi biscotti al pistacchio generosamente lasciati incustoditi sul tavolo…mi guardo intorno, ascolto la musica proveniente dalla cucina…come fanno gli italiani a “settizzarsi” sempre tra loro? Ho il rigetto degli italiani in Syria, sembrerò anche antipatica, ma non ho niente da dire con chi si ostenta a parlare la propria lingua in un paese straniero.


I verbi deboli e la finestra di fronte mi ricordano di avere una macchina fotografica senza schermo visualizzabile, sempre meglio di niente…le voci della gente da qemarie mi strappano un sorriso, riconosco anche le voci di alcuni miei amici, il tutto è condito da urla di venditori, musica araba, lambrette di passaggio, bambini che corrono e si inseguono e il minareto ormai mio caro amico che con la sua luce verde e i suoi ben visibili e rumorosi altoparlanti mi ricorda che sarà sempre lì pronto a dedicarmi una canzone…

foto scattate cercando di interpretare quante volte debba pigiare un bottone per eliminare il flash e inquadrare un settore di immagine, batterie scariche, caricabatteria che fonde le batterie, luce di casa che salta con corto circuito sul dito della mia coinquilina, gente che viene e che va, gente che mi cerca, ma io oggi sono solo per me stessa, candele che esplodono sul candelabri comprato a 5 centesimi per strada di non si sa che tipo di materiale, semplicemente (apprendo oggi), materiale infiammabile…il tempo scorre e le mie foto sono il risultato di una serie di sforzi dis/sovr-umani, come ai tempi della manovella... chissà perché le finestre della mia stanza hanno le sbarre? Delle volte mi piacerebbe liberarle e esplorare i tetti damasceni, forse onde evitare questo…le parabole satellitari sembrano dischi volanti e delle volte mi chiedo se siano posizionati anche loro in direzione della Mecca o se i musulmani preghino nella stessa direzione in cui si rivolgono i satelliti…che bel dilemma…costretta da un bisogno di sopravvivenza è meglio che mi diriga in direzione felafel, ancora dal cielo non piove cibo e dalle immagini del satellite non posso estrapolare del cibo vero, sarebbe proprio comodo, forse bisognerebbe pregare più intensamente in direzione del satellite?