GLI ARABISMI NEL PATRIMONIO LESSICALE ITALIANO
LESSICO MILITARE, MARINARESCO E COMMERCIALE
Aguzzino. Dall’arabo al-wazīr, originariamente significante ministro, con degradazione semantica.
Alfiere. Sia nel senso di "portabandiera" che nel senso, da esso derivato di "pezzo del gioco degli scacchi movibile in senso diagonale lungo le caselle di uno stesso colore". L’etimo è nello spagnolo alférez, che a sua volta viene, in ultima analisi, dal vocabolo arabo al-fīl "elefante" (entrati in arabo dal persiano pīl).
Ammiraglio. La voce ammiraglio trae origine dall’arabo amª°r (comandante, principe, governatore) passato attraverso il greco amerâs (già in Eginardo, Vita Caroli); sulla specializzazione marinaresca della parola, già Michele Amari affermò che sarebbe avvenuta in Sicilia, alla corte dei Normanni (di qui passata alle altre marine europee).
Ascaro. Soldato indigeno delle vecchie truppe coloniali europee, specialmente quelle italiane in Eritrea e Somalia direttamente dall’arabo ‘askarī"soldato", su cui è stato ricostruito il singolare maschile italiano ascaro.
Assassino. Deriva dalla parola araba hashishiyya o anche hashshashiyya, che significa letteralmente fumatore di hashish. Il termine fu usato per indicare gli adepti del gruppo ismailita dei Nizariti di Alamut in Persia, che seguivano con obbedienza cieca il loro capo noto come "il Veglio della Montagna". Gli aderenti alla setta avevano costituito una sorta di organizzazione terroristica ante litteram, per realizzare azioni violente e assassini politici in vari paesi del Vicino Oriente. Si dice che, prima di andare a compiere simili imprese, i membri del gruppo si inebriassero, fumando cospicue quantità di hashish: da qui la denominazione, dalla connotazione denigratoria, di hashishiyya che fu loro attribuita. L’uso del termine è stato poi esteso ad indicare l’omicida, senza particolari attributi.
Cassero. Il termine, che indica la parte più elevata e munita di un castello, si riconnette all’arabo qasòr, castello, che deriva dal greco bizantinokástron, a sua volta proveniente dal latino castrum, castello, fortezza.
Dogana. Dall’arabo diwan(a), libro dove si segnavano le merci in transito.
Facchino. La voce è stata a lungo ritenuta di origine francese. Più persuasiva la soluzione proposta da Pellegrini che fa risalire il termine alla parola araba faqª°h, in origine giureconsulto, teologo, passata poi ad indicare il legale chiamato a dirimere questioni relative alla dogana (accezione questa chiaramente attestata nello Zibaldone da Canal: "tuti quelli che porta ollio in Tonisto [= Tunisi] si lo convien desvasselar e farllo metere in çare e non se può far se lli fachini del fontego de l'oio non è susso per vederllo inçarar"). La degradazione semantica da ufficiale di dogana a portatore di pesi sarebbe avvenuta nei secoli XIV-XV, quando, in seguito alla grave crisi economica del mondo arabo-islamico, gli antichi funzionari furono costretti a dedicarsi al piccolo commercio di stoffe (e effettivamente in un testo latino medievale del Cadore del XVI secolo e in un documento latino medievale di Venezia del 1458 la parola fachinus sembra indicare un mercante), che essi stessi trasportavano di piazza in piazza sulle proprie spalle.
Fondaco. Dall’arabo funduq, alloggiamento per mercanti, a sua volta derivato dal sostantivo gr. pandochêion, locanda.
Magazzino. Dalla parola araba di forma plurale makhāzin, depositi.
Ragazzo. E’ una voce sulla cui origine si è molto discusso. Tra le molte proposte avanzate, oggi generalmente accettata dagli studiosi è la provenienza araba del vocabolo che deriverebbe dalla parola raqqa¯sò. Raqqa¯sò, nel Magreb, significa corriere che porta le lettere, messaggero(dal secolo XIII) ed è un termine molto probabilmente penetrato dalla Sicilia in Italia (o attraverso la terminologia della dogana). Da notare che alcune testimonianze latine ( ragaceni, 1408, a Cividale; ragazzini, 1492 a Faenza) non rappresentano un diminutivo, ma il regolare plurale arabo di raqqa¯sò, cioè raqqa¯sòª°n.
Sensale. Dall’arabo simsa¯r, mediatore, derivato a sua volta dal persiano sapsa¯r.
INDUMENTI E LESSICO DEL VESTIARIO
Caffet(t)ano. Termine derivato direttamente dall’arabo quftān.
Cremisi. Nelle sue vare accezioni ha la sua origine nell’aggettivo arabo qirmizī "del colore della cocciniglia", derivato dal vocabolo qirmiz "specie di cocciniglia" (a sua volta dal persiano kirm "verme"),
Gabbana. Parola derivata dal vocabolo arabo qabā’ "tunica da uomo dalle maniche lunghe", entrato simultaneamente in Italia e in Spagna.
Giubba. Voce che ha la sua origine direttamente nella parola araba ğubba "sottoveste di cotone" di vasta diffusione romanza, ma soprattutto italiana.
Ricamare. Dall’arabo raqama, raqqama "ricamare, tessere una stoffa", al quale restano fedeli molte varianti antiche e dialettali con rac- iniziale. Le corrispondenti forme francesi e spagnole sono state introdotte dall’Italia, che deve considerarsi il centro europeo di diffusione del ricamo, incrementata a Palermo intorno al Mille.
Scarlatto. Voce di origine persiano-araba saqirlat "abito tinto di rosso con cocciniglia", a sua volta formato sul greco dal bizantino sigillátos, ricalcato sul latino (textum) sigillatum.
SUPPELLETTILIBaldacchino. Dall’arabo bagdādī, aggettivo con il senso di "di Bagdad", che già in Levante significava tanto una "stoffa preziosa di Bagdad" quanto "ornamento a forma di cupola, che sovrasta qualche cosa".
Caraffa. Dall’arabo magrebino garrafa "vaso cilindrico di terra cotta con una o due orecchie": forse c’è stata contaminazione con un’altra parola araba, qaraba, "bottiglia di vetro a grosso ventre".
Giara. Parola forse entrata in italiano tramite lo spagnolo jarra o, meglio considerata la cronologia, direttamente dalla sua origine, l’arabo ğarra.
materasso. Dall’arabo matrah dalla rad. taraha "gettare", cioè "luogo dove si getta qualcosa", ad esempio un "tappeto sul quale coricarsi". La parola compare quasi contemporaneamente in Italia, Francia, Germania e Inghilterra, ma l’ipotesi più probabile e che il punto primo di diffusione, necessariamente meridionale, sia stato l’Italia.
Tazza. Dalla parola araba tāsa, giunta in tutto l’occidente verosimilment dai porti del Levante.
Zerbino. G. B. Pellegrini ha per primo riconosciuto l’origine ultima della parola nella voce araba zirbiyy "tappeto, cuscino", trasmessa all’italiano standard probabilmente attraverso l’italiano regionale ligure.
LESSICO DELL’ARTE
Lacca. Nel senso di "sostanza colorata di origine vegetale, animale o artificiale, usata come rivestimento protettivo od ornamentale di vari oggetti", è parola probabilmente derivata dall’arabo lakk, parola entrata in arabo tramite il persiano, e che trova la sua origine nell’indiano laksa.
Ottone. Una delle etimologie proposte ma soggetta a discussione lo riconnete con l’arabo latūn, a sua volta derivato dal turco altun/altın "oro".
Tarsia. Il termine che indica una "tecnica decorativa in legno o pietra, consistente nell’accostare elementi di vario colore commettendoli secondo un disegno prestabilito" e l’opera ottenuta con tale tecnica", deriva direttamente dalla voce araba tarsī‘, forma infinitiva del verbo rass‘a "ornare".
ALBERI DA FRUTTO, ORTAGGI, SPEZIE
Albicocco. Dal vocabolo arabo collettivo al-barqu¯q, con variante fonetica (birqu¯q), che significa prugne, susine.
Arancio. Dall’arabo na¯rangÍ, vocabolo di origine persiana. In italiano la parola ha subito la caduta della n- ritenuta parte dell’art. (*un narancio > un arancio; la forma narancio è attestata nell'Ariosto e in alcuni dialetti, ad es. a Venezia troviamo naranza).
Carciofo. Dal vocabolo arabo di senso collettivo hursÍu¯f .
Limone. Dall’arabo e persiano limun, a sua volta derivato probabilmente da una lingua orientale. Arrivò in Occidente insieme al frutto, durante le Crociate.
Marzapane. Contemporaneamente ed indipendentemente due studiosi, R. Cardona e G.B. Pellegrini, hanno esattamente individuato nel nome della città indiana di Martaban il punto di partenza della dibattuta storia del termine: l’arabo martaban designò, dapprima, un tipo particolare di vaso di porcellana, proveniente da quella città (cfr. massapanus nel latino medievale della Curia romana, 1337, e marzapani che, con varianti, s’incontra in inventari siciliani del 1487 e 1490: Lingua Nostra XV, 1954, 72, poi la confettura di zucchero e spezie, che quello solitamente conteneva (martabana in una lettera da Aleppo, scritta nel 1574 da un mercante veneziano e citata da G.B. Pellegrini).
Zafferano. Voce entrata in italiano dall’arabo za‘faran, forse con un tramite veneziano.
Zagara. Dall’arabo zahra "fiore" e, in particolare nei dialetti dell’Africa settentrionale, "fiore d’arancio".
Zibibbo. Voce diffusasi dall’arabo zabª°b, forse dalla variante fonetica egiziana zibª°b.
LESSICO DELL’ASTRONOMIA E DELLA MATEMATICA
Algebra. E’ voce introdotta in Occidente da Leonardo Fibonacci col celebre Liber Abbaci (1202) e risale all’arabo ‘ilm al-gÍabr wa al-muqa¯bala,scienza delle riduzioni e comparazione (opposizione).
Algoritmo. Il termine, che come nome comune indica un procedimento di calcolo, deriva dal nome proprio del matematico al-Khwarizmi, che a sua volta significa nativo del Kwarizm, regione dell’Asia centrale.
Almagesto. Il vocabolo italiano, che significa libro di astronomia, rappresenta la forma araba al-Magisti del titolo dato all’opera astronomica di Tolomeo Megiste Syntaxis Mathematikes.
Almanacco. L’etimo è dall’arabo al-mana¯hŠ, clima, calendario.
Azimut. Termine del lessico astronomico che indica l’angolo tra il circolo verticale di un astro e il meridiano del luogo di osservazione. Deriva dallo spagnolo acimut, a sua volta dall’arabo al-sumut, forma di plurale fratto del singolare samt, strada, erroneamente sentito come parola al singolare.
Come si nota da queste cinque parole, molto spesso, ma meno frequentemente che in spagnolo, la parola araba è stata accolta in italiano nella sua forma determinata, cioè con la concrezione dell’articolo determinativo arabo al-.
Cifra. Come per la parola zero l’origine è da ritrovare nell’arabo sòifr, propriamente aggettivo col significato di vuoto (cioè assenza di unità). Anche cifra, infatti, indicava originariamente lo zero e ancora nel 1740 il matematico Guido Grandi oppone cifra (cioè zero) a unità.
Nadir. Dall’arabo nazir, (punto) opposto (allo zenit)
X, segno per indicare l’incognita. In ultima analisi deriva dalla parola araba sÍay’, cosa, la cui lettera iniziale sÍ (da pronunciarsi sh, fricativa palatale sorda) era usata come abbreviazione per indicare l’incognita nei testi arabi di algebra. In spagnolo antico (come ancor oggi in portoghese) il suono sh era scritto con la lettera x e quindi anche la sÍ dell’incognita divenne x. L. Fibonacci nel suo Liber Abbaci seguì questo uso grafico e lo diffuse definitivamente.
Zenit. Il termine deriva dall’arabo samt al-ru’us, direzione delle teste. La parola indica il punto in cui la verticale che passa per un punto di osservazione incontra la sfera celeste.
Zero. L’etimologia è dall’arabo sòifr, vuoto, calco sull’aggettivo sanscrito s¢u¯nyá, vuoto, che i matematici indiani, e sul loro esempio poi gli Arabi che trasmisero la parola, col nuovo significato, in Occidente, usavano per indicare lo zero. Leonardo Fibonacci latinizzò tale voce in zephirum, che poi, nelle fonti italiane, diventò zefiro, zefro e quindi zero (documentato dal 1491). Un adattamento della parola araba più vicino all’originale è quello dello spagnolo cifra, italiano cifra (francese chiffre, tedesco Ziffer) col valore di segno numerico.
LESSICO DELLA CHIMICA
Alambicco. Dall’arabo al-anbiq, a sua volta derivato dal greco ámbix, tazza.
Alcali. In chimica indica i sali di potassio e di sodio. La parola deriva dall’arabo al-qaly, soda.
Alchimia. Attraverso il basso latino chimia, alchimia (forma con l’articolo arabo), scienza occulta che ricercava la pietra filosofale, risale all’araboal-kimiya¯’, pietra filosofale (a sua volta tratto da una voce copta chama, nero, oppure dal greco chyméia , mescolanza di liquidi).
Alcol. Il vocabolo deriva dall’arabo di Spagna kuhòul, polvere finissima per tingere le sopracciglia, ed aveva originariamente due significati: il primo, più conforme all'etimo arabo, è quello di polvere finissima di solfuro d'antimonio o di solfuro di piombo, adoperata in Oriente per tingere di nero le ciglia, le palpebre e le sopracciglia. Poi, gli alchimisti avevano generalizzato il senso della parola in quello di polvere impalpabile. Paracelso arbitrariamente estende ancora il significato, portando il vocabolo a significare elemento essenziale, nobilissimo; per lui alcohol vini è dunque lo spirito di vino. È molto probabile che la voce sia giunta a noi attraverso il francese, ove è attestata dal XVI secolo.
Elisir. In italiano indica un liquore dalle proprietà corroboranti. L’etimo è dall’arabo al-iksir, pietra filosofale efficace anche come medicamento in forma di sostanza secca. L’origine ultima è infatti il greco xerós, secco.
PAROLE VARIE
Bizzeffe. Nella locuzione avverbiale a bizzeffe nel senso di "in grande quantità, a iosa"; direttamente dall’arabo magrebino bizzaf, "molto, in abbondanza" .
Garbo. L’ipotesi più accreditata, anche se non l’unica, è di una derivazione dall’arabo qalib ‘modello’, che spiegherebbe tanto le accez. più ant. (‘forma (dei pezzi di costruzione) di una nave’, attestata tardivamente – 1602, B. Crescenzio – nei testi it., ma molto prima in quelli dial. – come il gen. ga(r)ibu nel sec. XIII: E. G. Parodi in AGI XVI, 1902-05, 141 –, tenuti dal Diz. mar. stranamente separati con doppia e diversa etim.), quanto le forme dial., come il calabr. gálipu (C. Salvioni in SR VI, 1909, 19).
Meschino. Direttamente dall’arabo miskīn (forse a sua volta di lontana ascendenza accadica) "povero, misero", documentato in Spagna nel secolo X, in Francia nel successivo.
Scacco. Con ogni verosimiglianza il gioco ha avuto una storia simile a quella delle cifre "arabe": come quest’ultime anch’esso è passato dall’India alla Persia e quindi nel mondo islamico, giungendo fino agli arabi di Spagna. La parola araba per scacchi è, infatti, di chiara origine indiana (shatranğ o shitranğ, proveniente etimologicamente dal sanscrito čaturanga "formato da quattro membra", cioè i quattro pezzi del gioco). Essa è testimoniata ancora nelle lingue iberiche: l’antico portoghese acedrenche e il moderno xadrez, lo spagnolo ajedrez. Nelle altre lingue europee il nome del gioco è stato ricreato dalla formula mista arabo-persiana che segna la conclusione del gioco: shāh māt, cioè "il re è morto, scacco matto".
Zecca. Direttamente dall’arabo sikka "moneta, conio" e dār al-sikka "zecca", lett. "casa della moneta". Zecchino ne è l’aggettivo "(ducato nuovo) di zecca", e sostituì il vocabolo ducato, che designò una moneta aurea ideale.
Bibliografia essenziale
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M. Cortelazzo/P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana (DELI). Bologna, Zanichelli, 1979-88 (e successive ristampe)
G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana. Firenze, Le Monnier, 1967
B. Migliorini, Storia della lingua italiana. Firenze, Sansoni, 1960
G. B. Pellegrini, Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia. Brescia, Paideia, 1972
G. B. Pellegrini, Ricerche sugli arabismi italiani con particolare riguardo alla Sicilia. Palermo, Centro Studi filologici e linguistici siciliani, 1989
C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine. Bologna, Patron, 1982
P. Zolli, Le parole straniere. Bologna, Zanichelli, 19912
http://www.cultura.toscana.it/intercultura/studi_materiali/orienti/arabismi.shtml