Cos'è il Petrolio, quali sono i Paesi che lo detengono, chi gli esportatori? E il ruolo degli Usa?
Il petrolio accompagna la storia dell'uomo da secoli e fin dall'antichità il greco "naphtha" richiamava il fiammeggiare tipico delle emanazioni petrolifere. I popoli dell'antichità avevano già ben noti i giacimenti di petrolio superficiali che utilizzavano per produrre medicinali e bitume o per alimentare le lampade.
Non mancarono anche gli usi bellici del petrolio. Già ai tempi di Troia dell'Iliade, Omero narra di un "fuoco perenne" lanciato contro le navi greche. Il "fuoco greco" dei bizantini era la più nota e temuta arma dell'antichità tratta dal petrolio, una miscela di olio, zolfo, resina e salnitro che non veniva spenta al contatto con l'acqua. La micidiale miscela era cosparsa sulle frecce o lanciata verso le navi nemiche incendiandole.
La conoscenza del petrolio ha pertanto origini antiche soprattutto in Medio Oriente.
Venne introdotto in occidente soprattutto come medicinale tramite l'espansionismo arabo. Le sue doti terapeutiche si diffusero con grande rapidità e alcune fonti d'olio a cielo aperto, come l'antica Blufi (santuario della Madonna dell'olio) e Petralia in Sicilia, divennero noti centri termali dell'antichità.
Il valore del petrolio come fonte di energia trasportabile e facilmente utilizzabile, usata dalla maggioranza dei veicoli (automobili, camion, treni, navi, aeroplani) e come base di molti prodotti chimici industriali lo rende una delle materie prime più importanti del mondo. L'accesso al petrolio è stato uno dei principali fattori in molti conflitti militari, compresi la Seconda guerra mondiale e la guerra del Golfo. La maggior parte delle riserve facilmente accessibili è collocata nel Medio Oriente, una regione politicamente instabile.
L'industria petrolifera nacque negli Stati Uniti per l'iniziativa di Edwin Drake negli anni 1850, nei pressi di Titusville, Pennsylvania. Il 27 agosto 1859 venne aperto il primo pozzo petrolifero redditizio del mondo. L'industria crebbe lentamente durante il 1800 e non diventò di interesse nazionale (USA) fino agli inizi del ventesimo secolo; l'introduzione del motore a combustione interna fornì la domanda che ha largamente sostenuto questa industria fino ai giorni nostri. I primi piccoli giacimenti "locali" in Pennsylvania e in Ontario sono stati velocemente esauriti, portando ai " boom petroliferi" in Texas, Oklahoma, e California. Altre nazioni avevano considerevoli riserve petrolifere nei loro possedimenti coloniali, e incominciarono ad utilizzarli a livello industriale.
Sebbene negli anni 50 il carbone fosse ancora il combustibile più usato nel mondo, il petrolio cominciò a soppiantarlo. Oggigiorno circa il 90% del fabbisogno di combustibile è coperto dal petrolio. In conseguenza della crisi energetica del 1973 e della crisi energetica del 1979 si è sollevato l'interesse nella pubblica opinione sui livelli delle scorte di petrolio, portando alla luce la preoccupazione che essendo il petrolio una risorsa limitata essa sia destinata ad esaurirsi (almeno come risorsa economicamente sfruttabile).
Il prezzo del barile di petrolio è aumentato, dagli 11 dollari del 1998 agli attuali 80 (2007), del 727% circa. Esistono e sono continuamente allo studio fonti alternative e rinnovabili di energia, sebbene la misura in cui queste possano rimpiazzare il petrolio e i loro eventuali effetti negativi sull'ambiente sono attualmente oggetto di dibattito.
L'Iraq e le multinazionali.
In Iraq i primi giacimenti furono scoperti nel 1923 a sud presso il confine con l'Iran, e nel 1927 a Kirkuk, nel Kurdistan. Altri campi petroliferi furono aperti in seguito in tutto l'Iraq orientale: al nord (presso Mosul), al centro (intorno Baghdad) e al sud (intorno a Bassora). In quei primi decenni tutto il petrolio iracheno fu dato in concessione a due grandi multinazionali: l'inglese BP e l'americana Exxon. Nel 1972 il governo nazionalizzò i giacimenti e la produzione del petrolio, che fu mantenuta però sempre al di sotto delle capacità produttive. Le riserve accertate di petrolio in Iraq sono infatti di circa 112 miliardi di barili (equivalenti all'11% del totale mondiale), ma la produzione si è sempre mantenuta intorno ai 3 milioni di barili al giorno: un indice di sfruttamento inferiore rispetto all'Arabia Saudita, che ha riserve accertate di 264 miliardi di barili (+ 235% rispetto all'Iraq) e una produzione media di 8 milioni di barili al giorno (+ 266% rispetto all'Iraq).
Oil for food.
Dopo la prima guerra del Golfo Persico (1990-91), provocata dall'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq e terminata con la pesante sconfitta del regime irakeno a opera della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, l'ONU decretò pesanti sanzioni contro l'Iraq, tra le quali il blocco delle esportazioni di petrolio. A partire dal 1997, in seguito all'accordo "Oil for food" patrocinato dall'ONU per scopi umanitari, all'Iraq fu concesso di esportare quote ridotte di petrolio in cambio di prodotti utili per la sopravvivenza della popolazione locale (generi alimentari, sanitari). Negli ultimi due anni, infine, il governo di Saddam ha concluso accordi per nuove concessioni con diverse compagnie petrolifere straniere (soprattutto francesi e russe, ma anche italiane, inglesi, spagnole, tedesche, cinesi), oltre ad accordi per la prospezione geologica e la ricerca di nuovi giacimenti nei vasti territori desertici dell'ovest del paese.
Una nuova compagnia anglo-americana?
La guerra scatenata il 20 marzo 2003 ha congelato la situazione, bloccando in pratica questi accordi. Di fatto uno dei primi provvedimenti dell'amministrazione provvisoria USA è stata la creazione di una nuova compagnia, la Iraq National Oil Company, alla quale sono confluiti tutti i giacimenti e tutti i diritti petroliferi iracheni. La compagnia dovrebbe avere la struttura di un'azienda privata, con un consiglio di gestione nominato dai paesi vincitori della guerra.
A dire il vero c'erano due piani, conflittuali tra loro, che scatenarono una guerra politica (tenuta nascosta) tra i neo-conservatori al Pentagono ed un misto di dirigenti "Big Oil" e "pragmatisti" del dipartimento di stato statunitense.
"Big Oil" sembra aver vinto. L'ultimo piano, ottenuto da Newsnight proprio dal dipartimento di stato statunitense, era stato redatto, come abbiamo appreso, con l'aiuto dei consulenti dell'industria petrolifera americana.
Alcuni "interni" hanno rivelato a Newsnight che la pianificazione inizio' "nel giro di qualche settimana" dalla prima entrata in carica di Bush nel 2001, molto prima degli attacchi dell'11 settembre agli USA.
Il consulente di industrie petrolifere iracheno Falah Aljibury afferma che prese parte ai meeting segreti in California, a Washington e in Medio Oriente. Ha descritto un piano del dipartimento di stato per attuare un golpe.
Aljibury ha anche detto a Newsnight di aver intervistato dei potenziali successori di Saddam Hussein per conto dell'amministrazione Bush.
Piano segreto di vendita
Il piano sostenuto dall'industria era stato scartato a favore di un altro progetto segreto, steso appena prima dell'invasione nel 2003, che prevedeva la vendita di tutti i campi di petrolioi. Il nuovo piano fu scritto dai neo-conservatori con l'intento di usare il petrolio iracheno per distruggere il cartello dell'Opec mediante degli aumenti massicci di produzione.
Secondo Robert Ebel, alla vendita fu dato l'ok durante un meeting segreto tenuto a Londra da Ahmed Chalabi poco prima dell'ingresso statunitense a Baghdad. Ebel, un ex analista petrolifero della CIA, ed ora insegnante al centro per gli studi strategici internazionali di Washington, volo' al meeting di Londra su richiesta del dipartimento di stato, come ha rivelato a Newsnight.
Aljibury, che un tempo era il canale tra Ronald Regan e Saddam, richiese i piani per la vendita del petrolio iracheno, spinse in questa direzione il consiglio governativo insediato dagli USA nel 2003, aiuto' ad istigare l'insorgenza e gli attacchi sulle forze d'occupazione statunitensi e britanniche.
"Gli insorti fanno cosi'... Vedi, immagina di star perdendo il tuo paese e di star perdendo le tue risorse, che finiscono nelle mani di una banda di ricchi miliardari intenzionati a comandarti e a rendere miserabile la tua vita" ha detto Aljibury dalla sua casa vicino a San Francisco
"Vediamo un aumento dei bombardamenti sulle installazioni petrolifere e sugli oleodotti, basati sul presupposto che la privatizzazione stia arrivando".
Privatizzazione fermata dall'industria
Philip Carroll, l'ex direttore generale della Shell Oil USA, prese il controllo della produzione petrolifera irachena a nome del governo statunitense un mese dopo l'invasione e sospese il piano di vendita.
Carroll ci ha detto di aver chiarito a Paul Bremer, il capo dell'occupazione statunitense che arrivo' in Iraq nel maggio 2003, che non ci sarebbero dovute essere privatizzazioni delle risorse petrolifere irachene o degli impianti finche' lui fosse rimasto in carica.
Il successore scelto di Carrol, un dirigente di Corroco Oil, ordino' un nuovo piano per la creazione di una compagnia petrolifera statale, proprio come voluto dall'industria.
Ari Cohen, della neo-conservatrice Heritage Foundation, ha dichiarato a Newsnight che era stata persa un'opportunita' per privatizzare i giacimenti petroliferi dell'Iraq. Sostenne che il piano era un mezzo degli USA per sconfiggere l'Opec e che l'America avrebbe dovuto andare avanti con quella che lui stesso ha definito una decisione "priva di cervello".
Carroll colpi' ancora, dicendo a Newsnight "Sarei d'accordo con quest'affermazione. Privatizzare sarebbe una decisione priva di cervello. Solo una persona persona priva di cervello l'avrebbe pensata.
Nuovi piani, ottenuti da Newsnight e da Harper's Magazine grazie all'atto statunitense sulla liberta' d'informazione, richiedevano la creazione di una compagnia petrolifera statale, come voleva l'industria statunitense. In base all'inchiesta di Harper's, l'istituzione di questa compagnia ebbe termine nel gennaio del 2004 sotto la guida di Amy Jaffe dell'istituto Baker in Texas. L'ex vice-segretario di stato James Baker e' ora un legale. Il suo studio, Baker Botts, sta rappresentando ExxonMobil e il governo saudita.
Interrogata da Newsnight, miss Jaffe ha affermato che l'industria petrolifera preferisce il controllo statale del petrolio iracheno, e non la sua svendita, perche' tema un ripetersi della privatizzazione energetica sul modello russo. Temendo il collasso dell'Unione Sovietica, alle compagnie petrolifere statunitensi fu impossibile fare delle offerte per le risorse.
Dice Joffe: "Non c'e' dubbio che una compagnia petrolifera americana non sarebbe entusiasta di un piano per privatizzare tutte le risorse mediante compagnie irachene. Le compagnie americane resterebbero fuori dalla transazione".
D'altronde, Jeffe aggiunge che le compagnie petrolifere statunitensi non apprezzerebbero neppure un piano che indebolisca l'Opec. "Loro [le compagnie petrolifere] devono preoccuparsi del prezzo del petrolio".
"Non sono certa che, se fossi la presidentessa di una compagnia americana e venissi sottoposta alla macchina della verita', affermerei che prezzi alti del petrolio siano negativi per me o per la mia compagnia".
L'ex capo della Shell conferma. Ad Houston, ecco quel che ha detto a Newsnight: "Molti neo-conservatori sono persone che hanno certe convinzioni ideologiche sui mercati, sulla democrazia, su questo e su quello. Le compagnie petrolifere internazionali, senza eccezione, sono organizzazioni commerciali molto pragmatiche. Non hanno una teologia".
Qui di seguito sono elencati i primi 20 paesi per riserve certe di petrolio all'anno 2006.
Per vita media residua si intende la stima della durata delle riserve ai ritmi di produzione dell'anno 2006.
N° Paese Milioni di barili (bbl) % sul totale Vita media residua
1 Arabia Saudita 264.300 21,9% 66
2 Iran 137.500 11,4% 87
3 Iraq 115.000 9,5% 157
4 Kuwait 101.500 8,4% 103
5 Emirati Arabi Uniti 97.800 8,1% 90
6 Venezuela 80.000 6,6% 78
7 Russia 79.500 6,6% 22
8 Libia 41.500 3,5% 62
9 Kazakhstan 39.800 3,3% 76
10 Nigeria 36.200 3,0% 40
11 USA 29.900 2,5% 12
12 Canada 17.100 1,4% 15
13 Cina 16.300 1,3% 12
14 Qatar 15.200 1,3% 37
15 Messico 12.900 1,1% 10
16 Algeria 12.300 1,0% 17
17 Brasile 12.200 1,0% 19
18 Angola 9.000 0,7% 18
19 Norvegia 8.500 0,7% 8
20 Azerbaijan 7.000 0,6% 29
Resto del mondo 74.700 6,2% *
Totale 1.208.200 100% 40,5
46 Italia 700 0,06% 18
Qui di seguito vengono elencati i primi 20 paesi produttori di petrolio nel mondo nell'anno 2006 :
N° Paese Milioni di barili (bbl) % sul totale
1 Arabia Saudita 3963 13,3%
2 Russia 3366 12,0%
3 USA 2508 8,4%
4 Iran 1585 4,5%
5 Cina 1345 4,5%
6 Messico 1344 4,5%
7 Canada 1148 3,9%
8 Emirati Arabi Uniti 1084 3,6%
9 Venezuela 1031 3,5%
10 Norvegia 1014 3,4%
11 Kuwait 987 3,3%
12 Nigeria 898 3,0%
13 Algeria 732 2,5%
14 Iraq 730 2,4%
15 Libia 670 2,2%
16 Brasile 666 2,2%
17 Regno Unito 597 2,0%
18 Kazakistan 520 1,7%
19 Angola 514 1,7%
20 Qatar 413 1,4%
Resto del mondo 4497 15,1%
Totale 29807 100%
49 Italia 40 0,1%
Fonte : BP Statistical Review of World Energy - June 2007
Sono inclusi i volumi di petrolio estratti da sabbie bituminose e scisti bituminosi oltre che ai liquidi separati dal gas naturale ( “Natural Gas Liquids - NGL”). Sono esclusi i carburanti (liquid fuels) prodotti da altre fonti (es. carbone).
Qui di seguito vengono elencati i primi 20 paesi consumatori di petrolio nel mondo nell'anno 2006:
N° Paese Milioni di barili (bbl) % sul totale
1 USA 7515 24,1%
2 Cina 2718 9,0%
3 Giappone 1885 6,0%
4 Russia 998 3,3%
5 Germania 957 3,2%
6 India 940 3,1%
7 Corea del Sud 844 2,7%
8 Canada 811 2,5%
9 Brasile 765 2,4%
10 Arabia Saudita 732 2,4%
11 Messico 720 2,2%
12 Francia 712 2,4%
13 Italia 654 2,2%
14 Regno Unito 650 2,1%
15 Iran 609 2,0%
16 Spagna 585 2,0%
17 Taiwan 409 1,3%
18 Olanda 386 1,3%
19 Indonesia 376 1,3%
20 Thailandia 338 1,1%
Resto del mondo 6953 22,7%
Totale 30557 100%
Consiglierei vivamente di dare un'occhiata ai numeri, statistiche, chiamateli un pò come volete e di far caso alla posizione degli Stati Uniti d'America, dell'Iraq e dell'Iran e se volete, perchè no, di Cina e Russia. Forse vi renderete conto di come gli eventi e le guerre girino intorno ai Paesi che più hanno risorse petrolifere e come chi ne consuma di più sia il motore che spinge all'esportazione della "democrazia" nel mondo...