L’ULTIMO NOBILE
Parlava animatamente e con spirito quieto.
Vestiva panni grigi di svogliata fantasia, viveva l’atmosfera di un passato che pochi conoscevano. L’antichità dimorava in lui e lui dimorava l’antichità, anche se questa significava decadenza e ristrettezza. Non voleva abbandonare il passato, i titoli che risuonavano un tempo non rimanevano più impavidi nella quotidianità, fatta ormai di umide pareti, di balconate sgretolate e di vaghi testamenti.
Ma lui dimorava l’antichità, l’antichità dimorava in lui.
Camminava curvo nella sua nobile saggezza, l’ultimo dei nobili voleva mantenere i suoi titoli, ma la decadenza regnava in ciò che era ancora di immane bellezza.
L’ultima volta che lo vidi era in macchina, con sua moglie e sua cognata, stava seduto dietro, il suo viso era più segnato del solito, i capillari dei suoi occhi erano ben rossi ed evidenti, tremava, come se avesse paura, come se fosse circondato da un ghiacciaio…
la penultima volta che lo incontrai si trovava all’angolo di un bar, parlava con un amico, mi avvicinai a lui, erano anni che non lo vedevo, lo chiamai per nome e lo baciai, i suoi occhi si illuminarono mostrando le rosse venature sulle pupille bianche, mi guardò senza dire niente e del liquido inumidì i suoi occhi.
La sua casa, o meglio la sua dimora era fiorita e verde di meraviglie della natura, lui giaceva in mezzo alla stanza con le mani giunte al petto, con un velo bianco con bordi dorati che ricopriva la sua figura, smagrito, tranquillo, come se stesse dormendo, un anziano che la morte rende quieto e ancor più bello, pensai, ma lui era un nobile, un nobile di sangue e un nobile di fatto, aveva vissuto rincorrendo le sue origini, cercando di trattenerle, per non rinnegare ciò che aveva dato lustro alla sua esistenza e a quella dei suoi avi. Solo la morte non faceva differenza tra gli uomini e fu così che anche l’ultimo dei nobili divenne un uomo comune come tutti gli altri.
(foto antica Caltagirone)